RASSEGNA STAMPA

LIBERAZIONE - E' confermato: a Genova nel 2001 agenti Usa con le armi in pugno

Genova, 22 luglio 2008

E' confermato: a Genova nel 2001 agenti Usa con le armi in pugno

Graziella Mascia
Qualcuno aveva dato l'ordine di sparare, nel luglio 2001 a Genova? L'interrogativo torna con tutta la sua drammaticità, perché Carlo Giuliani è stato ucciso e non ha avuto neanche un processo, perché furono almeno 20 i colpi di pistola sparati in quei giorni, e messi a verbale dai carabinieri, e perché la domanda è di nuovo d'attualità.

Infatti, il quotidiano la Repubblica ha riportato, in questi giorni, stralci di un documento nelle mani della magistratura genovese, secondo il quale, durante i giorni del G8, un contingente di militari e agenti dei servizi statunitensi era stato autorizzato all'uso della armi sul territorio italiano, ed era pronto a sparare per fermare eventuali aggressioni ai propri rappresentanti istituzionali. Tale documento verrebbe utilizzato dal procuratore generale di Genova, Ezio Castaldi, per ricorrere contro alcuni dei 25 manifestanti, accusati di devastazione e saccheggio e infliggere loro condanne più dure. Il tribunale aveva infatti riconosciuto loro di essersi trovati, allora, in via Tolemaide, in una situazione di guerriglia, causata da un plotone dei carabinieri che caricò all'improvviso le tute bianche, mentre era diretta in altra parte della città. Secondo il procuratore, invece, l'intervento dei carabinieri in tale circostanza, non fu determinato da un errore, ma dalla necessità che «entrassero in azione, e con mezzi estremi, le forze di sicurezza degli stessi stati partecipanti al G8». Il procuratore precisa inoltre che «dette forze di sicurezza, per lo più statunitensi, erano infatti dislocate ampiamente nella zona rossa.... ed erano pronte alla reazione immediata ed armata...».
Mi è tornata immediatamente alla memoria l'audizione svolta al Senato il 21 febbraio 2002, dall'allora ministro dell'Interno Scajola, con i parlamentari della commissione Affari costituzionali di Camera e Senato.
In quell'occasione Scajola si era scusato, e aveva dovuto chiarire alcune dichiarazioni "in libertà", rilasciate a giornalisti, nelle quali aveva detto tra l'altro: «..fui costretto a dare l'ordine di sparare se avessero sfondato (o violato) la zona rossa.... presto forse sapremo quali disposizioni qualcuno aveva avuto». Naturalmente l'audizione non chiarì a chi si riferisse il «qualcuno» e il ministro smentì le sue stesse parole, riconoscendo che nessuno, secondo le leggi italiane, può dare l'ordine di sparare, poiché questa estrema ed eccezionale scelta attiene all'esclusiva responsabilità di chi opera in una determinata circostanza. Precisò, inoltre, che il riferimento all'uso delle armi riguardava le preoccupazioni di quei giorni per gli attacchi terroristici al presidente Bush.
Aggiungo che, nel corso dell'indagine parlamentare svolta dopo i fatti del luglio 2001, l'allora questore di Genova ha sostenuto tenacemente che il corteo delle tute bianche non era autorizzato, fino a quando gli esponenti del Genova social forum non hanno esibito le carte prodotte proprio in questura.
Non solo, dunque, ogni particolare che viene disvelato dovrebbe essere usato a difesa dei 25 manifestanti, ma dovrebbe spingere a fare davvero piena luce su una vicenda che ancora ci inquieta e ci indigna, e che offre un'immagine dubbia della democrazia nel nostro paese.
Queste limitate, ma importanti, notizie confermano, tra l'altro, quanto sostenni nella relazione di minoranza in parlamento, e cioè che il G8 di Genova non fu un affare solo italiano, e che la gestione delle forze dell'ordine, fin dalla preparazione, ebbe una regia internazionale.
In questi giorni, per la prima volta, ho pensato che forse non ci sarà mai giustizia per chi, alla scuola Diaz, nelle vie di Genova, o a Bolzaneto è stato picchiato o torturato.
Sul piano delle responsabilità individuali, infatti, la magistratura ha fin qui dimostrato tutti i suoi limiti, sia per le difficoltà oggettive di riconoscere gli autori dei reati, sia per la reciproca copertura tra esponenti delle forze dell'ordine presenti in quelle occasioni.
Anche per questo, rimane particolarmente insopportabile la bocciatura della proposta di legge per l'istituzione di una commissione d'inchiesta parlamentare, che almeno ricostruisse i fatti, e ci restituisse un riconoscimento collettivo su quanto effettivamente avvenuto.
Quel voto non ha solo archiviato le vicende di Genova fra i tanti misteri italiani, ma ha probabilmente impedito definitivamente a molti ragazzi che da anni chiedono giustizia di recuperare la fiducia nella politica e nelle istituzioni.
Ora non ci si attende neanche più il risarcimento morale di conoscere la verità circa le responsabilità politiche e istituzionali, e per questo sono suonate particolarmente apprezzabili le parole del procuratore Zucca nel processo della Diaz, quando ha sostenuto che «le colpe di chi porta la divisa sono molto più gravi di qualunque azione dei black bloch».
Contro questa condizione di impunità di poliziotti, carabinieri, ecc. non ci si può rassegnare.
Perciò, questo ennesimo squarcio che ci offre il documento depositato presso l'ufficio impugnazioni del tribunale di Genova, deve essere l'occasione per tornare ad interrogare chi occupa rilevanti incarichi istituzionali. Non si può pensare di ospitare nel 2009 una riunione del G8 in Italia, quando sono ancora aperte ferite così profonde nella nostra memoria e nella nostra democrazia.